CONVEGNO A MILANO: COMUNICAZIONE E AMBIENTE, ETICA E SOSTENIBILITÀ

15 Ottobre 2025

Il presidente della Fondazione MAC, Dario Edoardo Viganò, ha partecipato a Milano al convegno “Comunicazione e ambiente, etica e sostenibilità”. Ecco il suo intervento.

«Di fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta […] entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune». Così papa Francesco in apertura della Lettera enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015), un appello rivolto ai credenti e alla comunità globale, perché si levi una coscienza individuale e collettiva per la custodia della natura e del creato, sempre più erosi dalla vita fuori controllo dell’uomo. Un invido a un cambio di passo deciso e responsabile per il bene della casa comune, soprattutto per le generazioni di domani. Un impegno condiviso non solo in ambito religioso, ma anche da movimenti e organizzazioni laici a livello internazionale. Tra i più popolari degli ultimi anni Fridays for Future di matrice studentesca. Insomma, voci, appelli e canti di protesta accomunati dal desiderio di preservare la salute della Terra e dei suoi abitanti nel presente, nel domani. Un richiamo cui si sono uniti anche il cinema e la serialità Tv, offrendo suggestioni sul tema giocate tra impegno civile, sguardi di inchiesta, racconti drammatici o velati da un afflato educational; proposte pensate per scuotere il torpore collettivo, politico e sociale, ma anche per educare i più giovani a un’esistenza rispettosa ed (eco)sostenibile. Vi propongo quindi alcuni recenti quadri visivi che hanno acceso una riflessione sul tema. 

Un vibrante e amaro grido d’allarme

Presentato in prima mondiale all’82a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia e su Netflix dal 24 ottobre 2025, il thriller politico A House of Dynamite diretto dalla statunitense Kathryn Bigelow è un potente e incalzante allarme, una scossa elettrica rivolta ai vertici della politica mondiale ma anche alla comunità tutta sui rischi che stiamo correndo per l’escalation di tensioni internazionali e una corsa cieca alla ripresa degli armamenti atomici. 

Scritto da Noah Oppenheim e dalla stessa Bigelow, il film ci racconta una giornata ordinaria a Washington. I dipendenti governativi e delle principali realtà istituzionali e militari del Paese si recano al lavoro, congedandosi dalle proprie famiglie, con la promessa di rivedersi alla sera. Ma qualcosa all’improvviso cambia le carte in tavola, e sovverte irreparabilmente l’orizzonte. I sistemi rilevano un missile dalla velocità anomala lanciato da una zona dell’Asia dell’Est e diretto verso gli Stati Uniti. Rapidamente, con crescente fibrillazione, i punti di controllo del Paese si attivano: Casa Bianca, Pentagono, basi militari in Alaska e nel Pacifico. Il primo obiettivo è capire cosa sta accadendo, il passo successivo è avviare subito canali diplomatici e provare a scongiurare l’orrore; senza contare il nervosismo militare nel dover ipotizzare una ferma risposta davanti a un’aggressione. Insomma, un incubo che prende forma in pochissimi minuti, una vertigine che si prepara a inghiottire tutto e tutti.

«Diverse nazioni – ha sottolineato la Bigelow – possiedono armi nucleari sufficienti a porre fine alla civiltà in pochi minuti. Eppure c’è una sorta di intorpidimento collettivo, una silenziosa normalizzazione dell’impensabile. Come possiamo chiamare tutto questo “difesa” quando l’inevitabile risultato è la distruzione totale? Volevo fare un film che affrontasse questo paradosso, che esplorasse la follia di un mondo che vive all’ombra costante dell’annientamento, eppure ne parla raramente».

Interpretato con grande trasporto da un cast corale tra cui Idris Elba, Rebecca Ferguson, Gabriel Basso, Jared Harris e Tracy Letts, A House of Dynamite è puro cinema hollywoodiano costruito abilmente secondo le regole narrative del thriller politico-psicologico, ma è anche molto di più. È lo sguardo visionario di un’autrice, Kathryn Bigelow, la prima donna a ricevere un Premio Oscar come miglior regista (per The Hurt Locker nel 2009), che ha sentito l’urgenza di utilizzare le potenzialità narrative e visive del cinema per mettere gli spettatori davanti alla possibilità che la vita vacilli e deragli in una manciata di minuti, di ore, in una partita a scacchi tra potere e armi atomiche. Uno specchio apparentemente deformante, ma in verità realistico del nostro presente, in bilico su un precipizio e con pochi, fragili, ancoraggi. 

Quando il presente inciampa all’improvviso nell’incubo, è lo stesso approccio utilizzato nella commedia nera ammantata da dramma sociale Siccità (2022) diretta dal regista livornese Paolo Virzì, film di chiusura della 79a Mostra del Cinema di Venezia. Virzì costruisce un racconto corale ambientato in una Roma sfinita dal caldo, tra siccità e un’epidemia. Protagonisti Claudia Pandolfi, Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Max Tortora, Elena Lietti, Tommaso Ragno ed Emanuela Fanelli. 

A Roma, d’estate, non piove da tempo, troppo tempo. Il letto del Tevere è un fiume di sabbia, non c’è traccia d’acqua. Gli ospedali sono presi d’assalto da pazienti ricoverati in emergenza per un’infezione batterica aggressiva. In questa cornice, prendono vita storie di singoli e famiglie che provano ad attraversare il drammatico cambiamento, lo sconvolgimento, senza perdersi, senza abdicare alla speranza. Così il regista: «Una galleria di personaggi ugualmente innocenti e colpevoli, un’umanità spaventata, affannata, afflitta dall’aridità delle relazioni, malata di vanità, mitomania, rabbia, che attraversa una città dal passato glorioso come Roma, che si sta sgretolando e “muore di sete e di sonno”. Una visione che può sembrare un’allegoria catastrofica, dove anche l’ironia è nerissima, ma attraversata da un sentimento di tenerezza e compassione, da lampi di batticuore e speranza di salvezza. La canzone di Mina “Mi sei scoppiato dentro al cuore” […] risuona come una preghiera in questo paesaggio di solitudini e di relazioni meschine, provando a dar voce all’insopprimibile desiderio collettivo di consolazione e di amore».

Sviluppato insieme a Paolo Giordano, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, il film Siccità si presenta come uno spettacolo tragicomico puntellato da ironia nera; una suggestione su un domani non così lontano dove l’umanità si ritrova fragile e sola, messa spalle al muro da un clima impazzito. Un mondo vicino al capolinea, dove però oltre alla galleria di sofferenze, paure e solitudine, va in scena anche il ritratto di una comunità resiliente, capace di sperare e credere che una salvezza sia ancora possibile. Virzì, con la sua commedia amara, schiaffeggia lo spettatore e al contempo gli dona una carezza: avverte che il deterioramento della natura, del creato, è possibile e probabile, ma a esso bisogna opporsi con prontezza e solidarietà. 

Quando il fantastico aiuta a leggere le fratture del presente

Metafore. Sono quelle predilette dal cinema hollywoodiano, che si serve di opere di grande suggestione visiva tra colossal fantasy e colorate animazioni: è il caso anzitutto del capolavoro di James Cameron, Avatar, che presidia il primato del box office mondiale, un avvincente racconto epico ed ecologista sulle rotte del fantastico. Dopo lo straordinario successo del primo capitolo nel 2009, vincitore di tre Premi Oscar e un incasso senza precedenti con oltre 2 miliardi e 900 milioni di dollari, nel 2022 è nei cinema il secondo titolo Avatar. La via dell’acqua (Avatar: The Way of Water). Cameron realizza un’opera che fonde racconto bellico, saga familiare, impegno ecologista e afflato spirituale. Il film è diventato il terzo incasso nella storia del cinema superando la soglia dei 2 miliardi e 300 milioni.

La vicenda si svolge sempre sul pianeta immaginario di Pandora dove l’ex Marine Jake Sully ha preso le distanze dal suo passato bellico sulla Terra e si è integrato nella comunità indigena degli Omaticaya, sposandosi con la principessa guerriera Neytiri e formando insieme a lei una famiglia con quattro figli. Neanche dieci anni dopo, un nuovo conflitto è all’orizzonte, mosso da un esercito umano aggressivo e predatore, bramoso di risorse e nuovi spazi. 

Cameron esplora il tema del rispetto dell’ambiente e del creato, lanciando un potente messaggio ecologista: nel film indica come sia per mano dell’uomo che il mondo è sul crinale dello smarrimento, soprattutto quando si fa predatore di risorse per interesse e profitto. Un po’ Moby Dick (1851) di Herman Melville e un po’ Laudato si’ di Papa Francesco, il film è «una storia ambientalista, che sconfina in un orizzonte di spiritualità: “Avatar. La via dell’acqua” è costellato infatti da momenti di ricerca interiore, dal rapporto con un “dio creatore”; la famiglia Sully, la comunità indigena tutta, dimostrano fede e rispetto per il dono della vita ricevuto» (Commissione Film CEI).

Si rivolge invece a un pubblico di preadolescenti e piccoli l’animazione Oceania 2 (2024), avventuroso e colorato sequel del fortunato cartoon Oceania del 2016. La Walt Disney Animation riprende il racconto dei popoli polinesiani, affrontando il valoroso viaggio in mare della giovane eroina Vaiana e del semidio Maui. Oceania 2, 63° classico della Disney diretto da David Derrick Jr., Jason Hand e Dana Ledoux Miller, ci riporta nell’isola immaginaria di Motunui, dove la giovane Vaiana decide di mettersi in mare, per andare alla ricerca di altri popoli per poter edificare con loro una società più forte e condivisa. Vaiana sa bene che rimanere fermi, immobili, significa candidarsi al logoramento, all’estinzione. Con lei sull’imbarcazione un piccolo gruppo di compagni di viaggio mossi da coraggio e solidarietà…

La Disney mette in piedi un cartoon acuto e coinvolgente, giocato sui temi dell’ecologia, della salvaguardia delle tradizioni e dello spirito di comunità. Vaiana abbraccia la speranza e la condivide con i suoi compagni di viaggio, e in maniera contagiosa anche con gli abitanti dell’isola di Motunui. Un racconto avvincente che affronta in chiave metaforica le sfide del nostro presente declinandole con i colori della possibilità e della speranza.

La poesia ecologista di Wenders tra Salgado e papa Francesco

Il decano del cinema tedesco ed europeo, Wim Wenders, che ha da poco compiuto 80 anni, nel corso della sua carriera si è distinto come instancabile esploratore delle vie dello sguardo, delle pieghe dell’animo umano. Nell’ultimo decennio l’autore ha più volte messo a tema la custodia dell’ambiente e del creato, oscillando tra arte, impegno sociale e spiritualità. 

Anzitutto nel 2014 ha diretto il suggestivo Il sale della terra, ritratto del fotografo brasiliano Sebastião Salgado, un documentario realizzato insieme a Juliano Ribeiro Salgado, film che ha ottenuto il Premio speciale Un Certain Regard al 67° Festival di Cannes. Il sale della terra ripercorre l’arte del fotografo Salgado, attraverso le diverse fasi della sua vita professionale e familiare, principalmente tra Europa e America Latina. Salgado ha raccontato in maniera asciutta e poetica le periferie del mondo, dai flussi migratori alle atrocità delle guerre in Iraq, nei Balcani o in Ruanda. Un cammino professionale ed esistenziale sino all’approdo del progetto fotografico Genesi, dedicato all’ambiente e al creato, e contestualmente con “Instituto Terra” l’impegno nel piantare oltre 2 milioni di alberi in Brasile. Un racconto che abita le fratture dell’umano ma anche il desiderio di riscatto, di riconciliazione, il ritrovarsi con la custodia della natura e della casa comune. 

E proprio grazie a tale documentario, sulle orme di quello straordinario progetto artistico, è nato il suo coinvolgimento nel primo film su e con papa Francesco, pontefice venuto «quasi dalla fine del mondo» e salito al soglio di Pietro nel 2013. Sin dal primo affaccio sulla Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro, si era acceso infatti un desiderio da parte di molti registi e produttori di raccontare il nuovo Papa. Wenders è stato il primo nome proposto dalla Santa Sede. E il suo immediato accogliere l’invito ha dato vita a un set straordinario, a un dialogo di rara bellezza tra il Papa e il regista. Un’esperienza cinematografica intensa, una testimonianza raccolta attraverso la macchina da presa che per il Papa si è fatta ponte per un abbraccio con gli uomini e le donne di ogni fede, cultura, appartenenza sociale o politica. La sensibilità di Wenders è riuscita a valorizzare le peculiarità dello stile comunicativo di Bergoglio.

Così è nato Papa Francesco. Un uomo di parola (Pope Francis: A Man of His Word, 2018), documentario scritto e diretto da Wim Wenders e presentato in anteprima al 71° Festival di Cannes. Non solo l’istantanea di un pontificato, ma anche un dialogo fecondo, autentico, con papa Francesco, dove il tema della custodia dell’ambiente e del creato, dell’ecologia integrale, occupa una posizione centrale. Un impegno di cui il Papa si è fatto portavoce con coraggio e determinazione. 

«Quando leggiamo nel Vangelo che Gesù parla degli uccelli e dice che “nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio” (Lc 12,6), saremo capaci di maltrattarli e far loro del male?». Così papa Bergoglio sempre nella Laudato si’, dove aggiunge: «Invito tutti i cristiani a esplicitare questa dimensione della propria conversione, permettendo che la forza e la luce della grazia ricevuta si estendano anche alla relazione con le altre creature e con il mondo che li circonda, e susciti quella sublime fratellanza con tutto il creato che san Francesco d’Assisi visse in maniera così luminosa» (221). 

Una riflessione che è stata ripresa e sostenuta anche dal nuovo pontefice Leone XIV, che nel decennale della Lettera enciclica di papa Bergoglio ha sottolineato: «La sua analisi della situazione, la proposta del paradigma dell’ecologia integrale, l’insistente richiamo al dialogo, l’appello ad affrontare le cause profonde dei problemi e ad unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale hanno suscitato vasto interesse. Rendiamo grazie al nostro Padre che è nei cieli per questo dono e questa eredità di Papa Francesco» (1° ottobre 2025). Papa Leone ha poi aggiunto: «Siamo un’unica famiglia, con un Padre comune che fa sorgere il sole e cadere la pioggia su tutti; abitiamo un medesimo pianeta, del quale dobbiamo avere cura insieme».